Perchè si, io, ogni tanto, “sceno muto”.

Standard

Progetto messaggi di scuse, poi mi impigrisco, non premo invio, rifletto, penso che ho ragione, poi no, forse dovrei. Non lo sò. Non mi frega niente. Che c’è natale, e gli spot in tv; e io ho la pancia gonfia. Sono pieno di nulla. Corro appoggiato a un deambulatore, sono una contraddizione vivente. Aspetto, ma vorrei correre, ho dei soldi, ma non ho voglia di comprare regali. E’ da sempre cosi, nei secoli dei secoli amen.
Libri iniziati e mai finiti, con sempre la stessa storia addosso, che alla fine metterò insieme sempre per quella storia della pigrizia e che però non avranno un senso. Coperte calde a destra, il letto freddo a sinistra. La solitudine dei piedi freddi avrei dovuto scrivere. Sarebbe stata una storia di te che non ci sei, e di me che passo la vita a sperare che tu ci sia. Negli intervalli avrei riletto i tuoi messaggi, e avrei perseverato in questa scena muta. L’ho fatto anche agli orali di terza media. Si, perchè io sceno muto quando sono in difficoltà, quando sento male alle sensazioni, quando mi stracci le intenzioni e mi stiri col ferro caldo le risposte che non voglio, e ci sorridi sopra. Quando urli, che c’è modo e modo di dire che sono un coglione. Mi metto il cappuccio, e non voglio più vederti, non voglio più parlarti, fino a che non mi dici che ti scusi. Che ho finito le dosi di orgoglio, devo ricomprarle. Ho le ultime gocce, e le conservo bene. Non voglio più vederti, ne parlarti, fino a che non mi dici che vuoi abbracciarmi.

La settimana di natale. Panettoni come fosse schiuma in una vasca dimenticata a riempirsi. I parenti tutti (e ribadisco tutti). Casa stracolma. L’albero con le luci nuove che mi spaventano nelle lunghe pause spente. Tovaglie rosse. Piatti rossi. Bicchieri rossi. Gamberetti in salsa, rosa. Il camino scoppietta. 22 le carrozzelle, 33 gli anni di cristo.
23, grida di sfogo a capotavola.

Rallento le immagini. Faccio scena muta, ché non sento nulla.
“E se non ci vediamo, Buon natale.”
Mi manchi.

Non ti voglio sentire.

Standard

Ho perso le parole per scriverti. Ma se sapessi tutto quello che avrei da dirti, probabilmente ne ringrazieresti il cielo.

Che tu accusi, ritorni, ammetti, e poi ti rimangi tutto. Poi mi guardi, e non ce la fai. Ti guardo, e ce la faccio meno di te. Però poi a fanculo le vittorie facili e i lieto fine. Meglio i silenzi, e gli impedimenti. Meglio imporsi di stare male, piuttosto che vivere, piuttosto che buttarsi con la coscienza di potersi fare del male o forse no.
Zero rischi, tutta rinuncia.
Ma come cazzo vivi dico io? Ma quando cazzo vivi, sopratutto?!
E allora scusa se io no. Scusa se non lo capisco e mi sembra tremendamente stupido, mi sembra tremendamente insensato. Mi sembra incredibilmente una stronzata.
Scusa se poi me ne vado e dietro la porta ci metto quattro sedie, due divani, la cassetta per gli attrezzi e le nostre foto. Scusa se poi non voglio più aprirla, nemmeno per il tuo compleanno, e nemmeno per natale. Scusa se mi chiudo dentro, e rispolvero la mia grandissima abilità nell’abituarmi alle cose giuste, che poi spesso sono quelle che non vorrei, ma è sempre cosi, ci sta, va bene, pace. E allora continua, urla pure, tanto io mi chiudo dentro, faccio le mie cose, che non ti sento e non ti voglio sentire. Urla quanto vuoi, urla fino a che il rumore diventerà la normalità se ti fa stare bene, e quando hai finito e il silenzio sarà la sorpresa, aspetta qualche secondo, contali pure se vuoi, a bassa voce, poi chiedimi di aprire e di darti un bacio. Vediamo che succede.

Ho perso le parole per scriverti, e grazie a Dio. Altrimenti mi dimenticheresti per sempre, in un secondo, anche se lo credevamo impossibile.

Il mio lato positivo, sei tu.

Standard

(Questo è un articolo “ascolta e leggi”)

Nella scena migliore, ci sono io con te. E partirei a raccontare dalla fine, anche se questo viaggio ha una storia lunga un secolo, nonostante io non sia così vecchio. O lunga come un filo.. di Arianna. Non so minimamente cosa mi abbia spinto fino a qui, ma me ne accorgo. Il cambiamento è inevitabile. E le scelte sono necessarie. Poi il destino ci fa il ricamo intorno. Cosa significa ritrovarsi qui? Forse un milione di cose, che non mi chiederò mai, o che forse mi chiederò sempre e a cui non saprò dare una risposta. E molto probabilmente giungerò alla conclusione che va bene così, lo stesso. Perchè la somma di questa operazione scritta da qualcuno che non sente dolore alle mani, siamo noi. E noi siamo un sacco di cose, adesso. Siamo quello di cui ho bisogno. Sono io.  L’equilibrio, il pensiero, l’attesa. La tranquillità della mattina presto. Non ti vedevo, ti avevo addirittura perso. Poi ti ho cercato, e ti ho visto a passi lenti. Poi ho desiderato. E adesso sto entrando in acqua, un passo alla volta, che è fredda. Anche se comunque è la velocità della luce. E allora balla con me, su questo tempo lontano, senza la precisione nei passi, coi capelli spettinati. E lasciati rincorrere, una notte, mentre mi odi, e io ti dirò che ti amo, anche se sono pieno di paura. E fammi sentire che tutto quel disastro è servito per arrivare qui, fino a te, e essere felice.

E abbracciami, mentre è natale, e non abbiamo biosgno di nient’altro, se non di noi, e di questa felicità.

Le cinque del pomeriggio, e il natale in ritardo.

Standard

Le cinque del pomeriggio sono come quelle del mattino. E in questa foto tu non ci sei. E non sai, quanto vorrei che ci fossi. E invece c’è solo un tramonto, e una strada, e il cielo che sta cominciando ad essere ordinato. Un lampione, e i fari delle macchine, che sta venendo il buio della sera. E allora mi viene in mente che le cinque del pomeriggio sono come quelle del mattino. E potrei giurarci. Poi, ora che è natale, che te lo dico a fare: I giardini sono pieni di luci, e ogni albero è un pretesto per la festa. E io mi sento al caldo, anche se di freddo, quassù, se ne respira abbastanza. Ne ho sofferto fino a ieri, di freddo, e ogni tanto lo sento ancora, ma solo a tratti grazie al cielo. Solo quando penso che ci divide tutta questa strada, e tutte queste luci, e tutti questi giorni. E tutte queste parole che dovremo ancora dire, e che aumenteranno l’attesa, e sarà come quando scartavamo i regali da bambini. Con tutta quella carta rossa, che diventavano pezzetti piccoli di carta strappata, per far uscire il desiderio. E l’albero si illuminava. E tutto andava bene.
Io sto qui, e tu li. E sono le cinque del pomeriggio, che sono come le cinque del mattino. Perchè ho tempo, e mi calmo. E vado, senza molta importanza. E vedo il giorno farsi posto. Il cambio delle nuvole, come il cambio della guarda. La fine del turno del sole, mischiato all’inizio del turno di questa luna, che è mezza, come me, e ci siamo rassegnati entrambi all’attesa dell’essere pieni.
E magari poi, sarà un attesa vana. Che bisogna contare tutto. Giocare a mazzi da 40 e non da 39. E però è bello il rischio. Che se ci penso non mi ci sono mai tirato indietro quando me lo sono trovato di fronte: quanta incoscienza. O beata, forse.
Le cinque del pomeriggio sono come le cinque del mattino. Ne sono sicuro, adesso. Posso confermartelo. E questo natale passerà lo stesso, un pò più lento degli altri passati, ma più fremente. Almeno per me. Sicuro.
E allora promettilo di nuovo, che io dicevo per gioco. Lascia che quell’albero viva fino a che io possa abbracciarti, abbi cura di lui e fa che quelle luci non si spengano. E poi cuciniamo il cenone a Febbraio. Lasciamo che questo natale arrivi in ritardo.
E aspettiamo insieme le cinque del mattino, che sono come quelle del pomeriggio, e forse, il regalo, poi, sarà scoprire che non siamo mai stati lontani.

L’albero mi imbruttiva, adesso siamo amici.

Standard

Sono tornato a casa da tre giorni, e lunedi uscendo dalla stazione sono incappato nell’inevitabile aria natalizia che ha invaso il paese. Vivo in un piccolo paese della Baviera, l’ultimo paese della Baviera, Baviera per culo praticamente, a 30 km da Francoforte, dove il Natale è una ricorrenza che festeggerebbero anche se la Germania fosse invasa dalla peggior catastrofe del mondo, e io, cresciuto in una famiglia che sente parecchio il natale, ci sto dentro, ma non tanto quanto loro, che con tutta quest’aura di festa, renne, e babbi natali mi fanno sentire un pò il Grinch rispetto a loro. Che poi paradossalmente quando ero in Italia sognavo di vivere in un posto del genere in un periodo nel genere, ma poi si sà, quando alle cose ci arrivi non ti sembrano piu come le sognavi, raggiungere spesso è rovinare l’idea. In più questo è il mio primo natale fuori casa, il primo davvero. Il primo natale in cui apperecchierò solo per due, e non per 30 e in cui forse non userò la tovaglia rossa (o forse si, sono un nostalgico), ma sopratutto il primo natale in cui mi sveglierò e non troverò venti persone già in casa colpevoli del tuo risveglio, o il cugino/nipote a cui tua madre dice puntualmente “è in camera, vallo a svegliare, che è contento”(Anzi, colgo l’occasione per dire a mia madre: Mamma, tu saresti contenta magari, io no, io la mattina di natale ho sempre voluto dormire finchè potevo, e se i cugini/nipoti sono ancora vivi è perchè trovo scomodo dormire con la pistola sotto al cuscino). In ogni caso, che io lo voglia o no, questo sarà il primo natale da solo, il primo natale in cui userò il telefono per fare gli auguri ai parenti senza dover subire le fiatelle mattutine che ti colpiscono durante il bacetto degli auguri, e questo un pò mi fa stare cosi e cosi, non nel senso che sarei stato felice di subire alitate fragorose in faccia di prima mattina, ma cosi e cosi nel senso che forse un pò le avrei sopportate pur di passare il natale a casa, tanto dopo sarei andato come sempre in bagno a spruzzare e a pipparmi l’odore odoroso del deodorante. Per quanto riguarda gli addobbi invece, è sempre un cosi e cosi, nel senso che mi sono adoperato per godere di tutti e due i risvolti della situazione, per gli addobbi sto cosi e cosi perchè da una parte ho fatto l’albero in anticipo per non arrivare a l’8 dicembre e accorgermi che lo sto facendo da solo, e dall’altra perchè non vedevo l’ora di farlo in quanto è la prima volta che posso farlo come dico io, in casa mia, con quante luci voglio io. Mi è venuto anche bene a guardarlo, un pò storto, ma è il mio primo albero, quindi me lo concedo. Una volta finito, mentre le luci andavano per conto loro l’ho guardato, e appena le luci si sono spente ho sistemato e ho preparato la cena. Ora sta lì, da solo, pure lui, l’ho fatto anche un pò per invidia, gliel’ho fatto apposta, almeno siamo soli in due, perchè solo io?! non gli ho messo nessun’altro addobbo in giro per casa, basta lui. Adesso se ne sta li, nell’angolo vicino alla tv, e la sera quando sono sul divano, ogni tanto mi guarda male, mi imbruttisce, e io per dispetto gli spengo le luci.

Stamattina, mentre andavo in bagno, mi sono fermato e l’ho guardato di sguincio, e lui lì sempre con quelle luci adesso accese e adesso spente, ho girato la testa, e di scatto l’ho riguardato per prenderlo di sorpresa e con la bocca impastata di sonno: “che fai, me guardi?” gli ho detto, e le luci si sono spente piu del dovuto, come se volesse dirmi tipo “scusa, c’hai ragione (sei mejo te)”, a quel punto sono andato in bagno, porta aperta, sul muro di fronte alla tazza vedevo il riflesso intermittente delle luci, e mentre pisciavo pensavo, penso sempre mentre piscio, mi ispira, pensavo che alla fine era da stupidi dargli contro così, fargli subire i miei stessi dispiaceri, ho pensato che alla fine dei conti io sono solo, lui pure, già che ce stamo, famose compagnia, e allora dopo quella perla di riflessione, che solo dio sà come m’è uscita appena sveglio, sono tornato in salone, e con l’aria di chi vuole riappacificarsi ma non vuole dartela vinta del tutto, ho preso il cappello di babbo natale che stava sulla sedia, l’ho allargato e gliel’ho messo in testa, le luci sono rimaste fisse, e io mentre andavo verso il divano, con l’aria caruccia, gli ho fatto l’occhiolino complice, poi sono tornato un pò in me, mi sono ricomposto, e gli ho detto ” Si, ma niente regali bello eh, troppi soldi, forse l’anno prossimo!”. Adesso siamo amici, e il natale lo passeremo insieme, senza imbruttirci. E mi sento un pò piu a casa.

1403059_598585743511658_1824791803_o