Se mi vuoi bene, fammi male.

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C’è una festa, ed è domenica. E io, non sento più nulla a cominciare dalle situazioni, per finire alla felicità dell’odore di un mandarino appena sbucciato a metà mattinata.
Ho perso i perché, non ho più domande, scopi, risposte.
E credo quindi di esistere. E non mi piace esistere e basta.

Non sento più il bisogno di un abbraccio, il tremolio degli occhi addosso.
Ho perso tutto da quando probabilmente ho toccato il fondo, e ora anziché risalire, resto un po’ più su del peggio adagiato nel limbo del menefreghismo e dell’antisentimentalismo.
E adesso non sono più io, non chiamatemi più con il mio nome, che non è nemmeno questione di merito, ma di identità. Non assegnatemi più la mia età perché non ne ho più una, nessun aggettivo perché ora risulterebbero tutti sbagliati, e no, non rivolgetevi più ad una persona che conoscete, rivolgetevi a una persona che ha perso le corde dell’emozione, e se ne sta a mezz’aria senza motivi e tantomeno motivazioni.
Non sento più la felicità per un amico, il bisogno di nulla. Sto camminando perché devo, e non perché voglio. Sto allontanando il mio mondo. Sto perquisendo le vie del mio cinismo troppo a fondo. Sto affondando.

E la cosa più grave, è che non mi fa più effetto nemmeno la pioggia, o due bambini che si scambiano le margherite nell’innocenza più assoluta. Non mi fa più effetto nemmeno Georgia del buon vecchio Ray, e detto questo credo seriamente che questa sia la fine di uomo e l’inizio concreto di un pezzo di carne girovagante.

Mi manca tantissimo sentire.
Vorrei solo tornare a sentire.

Se mi vuoi bene, fammi male.
O sarò costretto a farmene da solo, di nuovo.
Come ogni maledetta volta in cui cado.